Il rinnovamento del monastero, progettato dall'abate Jacopo Mindria da Bibbiena nel 1515, iniziò proprio dalla "cella vinaria" che occupa il seminterrato sotto il braccio sud dell'edificio. Ma i lavori, condotti dal capomastro Zinino Carrara, furono ben presto interrotti a causa della razzia del monastero da parte delle truppe di Massimiliano I d'Asburgo nel 1516, degli aspri contrasti tra Venezia e la Santa Sede e della peste che giunse a Bergamo nel 1524. Tuttavia Zinino riuscì a concludere le poderose cantine, che conservano ancora l'impianto unitario delle origini, giungendo esternamente fino al cosiddetto cordone, ovvero la cornice che conclude la scarpata fortificata in pietra. La coltivazione di viti nella valle d'Astino è attestata già prima della fondazione del monastero ed era abbondante: all'interno delle cantine, di cui solo i monaci avevano la chiave di accesso, si convogliavano le uve raccolte nei vari poderi, si faceva fermentare il mosto d'uva nei tini, si spremevano le vinacce con il torchio vinario, si conservava il vino in grandi botti, di cui rimangono ancora begli esemplari ottocenteschi. I monaci facevano un uso morigerato di vino: al giorno veniva concesso a ciascuno una emina di vino, corrispondente a 3/4 di litro, che era assunto generalmente mescolato all'acqua. Tra le pene che potevano essere inflitte ai monaci dall'abate per vari reati si annoverava anche l'astinenza dal vino, ovvero la dieta a pane e acqua. Nelle cantine si conservavano anche altri cibi e si affumicava il pesce che era allevato nella peschiera.(Alessandra Civai, Lisa Fracassetti)Per approfondire :I Vallombrosani e il lavoroL'alimentazione nel monastero